La rivincita della ragazzina senza talento

img_20170304_214759Lindsey Stirling. 31 anni.Alta un metro e qualcosa, dell’Arizona.
Sabato sono stato ad un suo concerto a Mantova.
Non è mio interesse parlarne o recensire il concerto. Quanto di questo e quanto di quello.
Né di quanto mi ha sconvolto l’aver scoperto che è Mormone e che su questo abbia anche girato un video-intervista per la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni.
Ma lasciamo stare, anche perché da buon pastafariano non me ne frega un cazzo del credo religioso o spirituale di nessuno.
Nemmeno del papa.

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Scrivendo il “Canto dei primi giorni dell’anno”

Caro lettore, una piccola prefazione prima di iniziare.
Questo racconto, perché di racconto si vuole trattare, non è per la prima ed ultima festa di un anno. Non è nemmeno per invogliare il concetto di “buono proposito”.
E’ un racconto che non pretende di far nulla, se non essere un racconto e, perciò, raccontare.

Erano le prime luci dell’alba.
Che giorno era? Nei primi istanti non lo riconobbi.
Era il primo gennaio.
I festeggiamenti erano passati come fanno gli aerei sopra le nostre teste: facendo un gran rumore e lasciando segni che a poco a poco svaniranno, ma è per chi ci sta sopra che l’aereo è importante, non tanto per chi lo guarda da terra. Per lui è una sorta di contorno del quale avrebbe fatto magari anche volentieri a meno.
Non che io avessi partecipato ai festeggiamenti.
Avevo preferito la compagnia di nessuno piuttosto che aver vicino nessuno da compagnia, o almeno la compagnia che preferivo.
Avevo tutto per superare la nottata indenne.
Avevo libri.
Avevo film.
Avevo da mangiare.
Avevo da bere.
E quindi mi misi comodo sul divano.
La mezzanotte si avvicinava inesorabile; in televisione un cartone animato.
La storia di uno straccione che, attraverso una finissima serie di false sfighe, diventa principe e marito di una ricca ereditiera araba. Conosciamo tutti la storia di Aladin.
Era passato molto tempo dalla prima visione e mi resi conto del vero significato della storia; morale che viene spiattellata in faccia dalle prime immagini. Non è la storia di come tutti possono diventare qualcuno. non è una storia di riscatto e d’amore.
Lui diventa tale perché è predestinato.
“Un diamante allo stato grezzo.”
Niente riscatto se non sei qualcuno.
Cominciamo bene dico io.
Però…
Cos’è lo stato più grezzo del diamante se non il carbone?
Sporco, nero, bruciato.
Ed ogni granello di carbone più, potenzialmente, diventare carbone, togliendo tutte le varie dissertazioni e precisazioni a carattere geologico.

…ed è qui che mi fermai nello scrivere il racconto rendendomi conto che era il resoconto falsato della mia notte di capodanno.
Non ero da solo, ne il mio approccio così cinico.
Ero con mia moglie ed ero totalmente disinteressato ai festeggiamenti; scorrevano via. Ne più, ne meno.
Il mio unico interesse verso la mezzanotte era basato esclusivamente sull’esplosione dei fuochi che avrebbero spaventato Luna, la nostra “figlia pelosa”.
Mi fermai nello scrivere il “canto dei primi giorni dell’anno” perché c’era una cosa fondamentale che non tornava: non lo sentivo.
Ogni parola usciva a fatica e, a malapena, tirava dietro di sé la successiva.
E avevo in mente altro.
Avevo in mente Proxima e la sua trasformazione da racconto a fumetto che si è avviata.
Avevo in mente il romanzo che era arrivato il momento di riprenderlo per sistemarlo.
Avevo in mente che dovevo completare una sceneggiatura per un mio amico ed era troppo tempo che aspettava.
Quindi mi fermai.
Niente Canto per quest’anno.
Mi dispiace 2017, non te la prendere, recupereremo strada facendo.

Dimenticare se stessi per ritrovarsi.

cropped-image.jpgIl titolo può senza dubbio essere fuorviante, richiamando qualche concetto pseudo-mistico-filosofico-newage-dandy-senza zucchero e con maionese veg a parte, ma la mia intenzione è ben altra: dimenticare quel se stessi fuorviato, limitato e allineato alla società, ai suoi tempi e alle sue necessità; questo “IO-sociale” non esiste essendo una delle e la maggiore tra le “maschere pirandelliane” che indossiamo.
Il mio personale “IO-sociale” è un magazziniere che fa un lavoro che non gli piace per persone che non gli piacciono, per un motivo che si deve far piacere per forza.
Questo mio “IO-sociale” inizia a lavorare alle 08:00 ma già alle 07:00 è in macchina; finisce di lavorare alle 17:30 con un’ora e mezza di pausa e un’altra mezz’ora circa per tornare a casa.
Il tutto per undici ore.
Non intravedete qualcosa di marcio? Qualcosa che andrà inevitabilmente ad iniziare un processo di marginale ma inesorabile inquinamento?
Ma non sono qui per criticare la società che…
No.
In tutto questo “tirarsi su troppa fetta biscottata”, dove sta lo scrittore?
Quello si alza alle 05:30 per poter scrivere a mente fresca, ritaglia dei pezzi durante la giornata e quando torna a casa la sera, ma le storie arrancavano a fatica.

Scrivevo nel post precedente che una delle mie passioni sono scienza e spazio: un’altra è la natura, in particolare, la montagna.
E domenica ho colto l’occasione.
La classica fuga domenicale.
E qui entra in gioco il “dimenticare”.
Mentre camminavo, la fatica che intorpidiva l’immaginazione svaniva; su quel semplice sentiero di quel”Io-sociale” non c’era traccia.
Quasi non fosse mai esistito.
L’oppressione dell’uno sull’altro scompariva.
Ad ogni passo le storia mi si presentavano davanti , narrate dalla mia musa storta.

Era una di quelle prime mattine di primavera…

Storie di pastori.

…quando la rugiada non si ghiaccia più sul manto delle pecore ed il gregge non sembra più una distesa brillante di ghiaccio fumante ma solo un gregge.
Di pecore.
Il mio.

Storie di minatori.

Alla luce delle candela mi guardavo le mani. I calli ricoperti dal nero del ferro e della pietra. Le immersi ella bacinella d’acqua , ma questa non faceva altro che legare di più quello sporco sulla pelle.

Di fate e avventurieri.
Di pellegrini e soldati.
Ma il il fiume di parole una volta a casa non si fermava e mi resi conto che non era questione di luogo, di lontananza dal lavoro, il fine settimana o il tempo libero.
Non era, non è questione di perdersi o ritrovarsi ma di dimenticare qualcosa e ricordarsi altro.
Di prendere distacco da una vita che ci sta troppo stretta.
Lasciarla alle spalle.
E non adagiarsi. Mai.
Macinando chilometri emotivi.
Che a volte non basta ciò che ci fa star bene, ma aria.
Aria nuova.
Aria Nostra.

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